PIGNATARO MAGGIORE – Un carabiniere dava informazioni al potente e sanguinario boss mafioso Vincenzo Lubrano, quest’ultimo defunto il 4 settembre 2007. La clamorosa notizia emerge da una intercettazione ambientale effettuata nella villa bunker di “don Vincenzo” in Contrada Taverna, a Pignataro Maggiore, città tristemente nota come la “Svizzera dei clan”; definizione tanto più significativa, a ragion veduta, se adesso bisogna fare i conti anche con le rivelazioni su settori deviati degli apparati dello Stato.
L’intercettazione ambientale si colloca nei mesi immediatamente successivi al plateale agguato che il 14 novembre 2002, a Pignataro Maggiore, aveva posto fine alla vita di Raffaele Lubrano detto “Lello”, anch’egli boss mafioso di grande spessore ed erede designato sul
Attenzione: qui entra in scena la figura inquietante del “carabiniere” indegno – e indegno è dire poco – di indossare la divisa dell’Arma Benemerita, pure lui finora non identificato dai suoi colleghi che immaginiamo hanno fatto di tutto per trovarlo e serrargli le manette ai polsi. Dice Vincenzo Lubrano, sempre intercettato dagli investigatori dell’Arma dei carabinieri: “No, no, è la verità, i carabinieri lo sanno. Stesso uno dei carabinieri mi ha detto come sta la situazione, ma intanto non lo arrestano”. C’è da rabbrividire. Ci chiediamo: ma come, i carabinieri – volendo prestare fede alle parole intercettate del capomafia – seguono la pista del “pentito” sospettato di essere tornato camorrista e killer (il già citato Antonio Abbate) e, invece di mantenere il più stretto riserbo tutti quanti, uno di loro va a riferire la delicatissima ipotesi investigativa ad un criminale quale Vincenzo Lubrano per di più padre – assetato di vendetta – della vittima dell’agguato Lello Lubrano?
Come è stato poi verificato in sede di indagini, la pista che avrebbe portato ad una diretta responsabilità – addirittura esecutore materiale dell’omicidio di Lello Lubrano – del collaboratore di giustizia Antonio Abbate si è rivelata del tutto campata in aria. Ma, all’epoca dell’intercettazione ambientale citata, possiamo anche noi confermare che circolò una voce secondo la quale l’ipotesi investigativa che puntava su Antonio Abbate fu – come altre – veramente vagliata dall’Arma dei carabinieri. Acquista quindi consistenza la possibilità che davvero un carabiniere avesse – incredibilmente – dato quell’informazione al boss Vincenzo Lubrano. Il capomafia riteneva attendibile – data la fonte in divisa – quella pista e si mise in moto per organizzare un agguato per eliminare Antonio Abbate, il collaboratore di giustizia che nella stessa intercettazione ambientale del 12 aprile 2003 (recante il numero 10251) Vincenzo Lubrano così definiva in maniera sprezzante: “Il pentito, il pentito, il cantante, il cantante”.
Che “un carabiniere” avesse dato quella notizia al boss pignatarese, fu riportato non solo nella trascrizione della più volte richiamata intercettazione ambientale tra Vincenzo Lubrano e “compare Pasquale” ma anche nella informativa dei carabinieri del comando provinciale di Caserta inviata ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Queste le parole esatte contenute nel documento: “Lubrano informa il suo interlocutore che ad eseguire l’omicidio del figlio Raffaele è stato Abbate Antonio (‘il pentito’) insieme ad altre due persone ed aggiunge di aver appreso tale notizia da ‘un carabiniere’”. Non conosciamo altri dettagli. Non possiamo dire, pertanto, quale sia stato il reparto di appartenenza del militare in questione, né se si sia trattato di un “carabiniere” semplice o di un graduato. In ogni caso, è roba da far tremare i polsi.
Rosa Parchi