La Corte di cassazione mette la parola fine alla lunga diatriba giudiziaria riguardante il destino dei beni sequestrati agli eredi di Dante Passarelli, l’imprenditore accusato di aver riciclato i soldi del “clan dei casalesi”, morto in circostanze misteriose nel 2004 a Villa Literno. Secondo la Suprema Corte, infatti, il sequestro di beni per un valore di 20 milioni di euro è valido. La questione era nata nel 2011, quando nell’ambito di un procedimento penale presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, i giudici avevano bloccato i beni del defunto su richiesta dei pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Gli avvocati difensori dei figli di Passarelli, per opporsi al provvedimento, ribatterono che quei beni, poiché finiti agli eredi dell’imprenditore, non potevano essere sequestrati. La controversia è finita in Cassazione, dove la Corte ha chiarito che se il blocco dei beni viene realizzato entro cinque anni dalla morte della persona indiziata di mafia, devono essere gli eredi a difendersi nel procedimento. Insomma, è stata ritenuta legittima la norma introdotta nel 2009 che consente di sequestrare e confiscare i beni dell’imputato dopo la sua morte.
Secondo quanto scrivono i giudici nella sentenza definitiva del processo